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FPmag 003 marzo 2015 progetti #4 fotografia al confine

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La percezione del confine
di Marco Monari

«Uno dei principali problemi dell'arte del camminare è trasmetterne in forma estetica l'esperienza. I dadaisti e i surrealisti non avevano trasferito le loro azioni su una base cartografica e sfuggivano la rappresentazione ricorrendo alle descrizioni letterarie; i situazionisti avevano prodotto delle mappe psicogeografiche, ma non avevano voluto rappresentare le reali traiettorie delle derive effettuate»
Francesco Careri*
Le conoscenze che diamo per assodate sono in genere quelle maggiormente afferenti all'esperito quotidiano. Vivere in un piccolo centro, come del resto in città, favorisce lo sviluppo di abitudini consolidate che coinvolgono anche la percezione visiva dello spazio in cui insistiamo.
In genere, questo si traduce in un'assenza di attenzione per quelli che si considerano gli aspetti scontati, come ad esempio i modi in cui si esprime il territorio di appartenenza. Seguendo la linea costante di ricerca sulle manifestazioni antropiche del paesaggio, si approda inevitabilmente alla meno visibile, ma più sottilmente incisiva, forma di intervento dell'uomo sul territorio: il confine. Nella loro declinazione internazionale, i confini assolvono al compito di definire le competenze di intervento degli Stati e, analogamente, all'interno delle strutture nazionali permettono di distribuire la logistica amministrativa. E più o meno tutti abbiamo presente, almeno a grandi linee, in quale modo si dipanano i confini nazionali, regionali e probabilmente comunali. Questi ultimi, in realtà, se non si hanno interessi specifici, sono probabilmente quelli meno noti ancorché più prossimi.
«Al termine di lunghe giornate impegnate in riprese fotografiche – afferma Marco Monari sul suo sito – rimane la percezione di questi confini, la consapevolezza del percorso svolto nella sua interezza».
Una sorta di testimonianza di come la trasposizione dalla cartografia al reale non sia così immediata. Più facile è, forse, il processo inverso che conduce, dopo aver percorso i luoghi, a ricostruirne l'identità simbolica sulle mappe. L'ultima fase di una razionalizzazione del territorio non esente dalle fascinazioni dadaiste e surrealiste. Nonostante la puntigliosa e quasi maniacale meticolosità dei prelievi iconici georeferenziati, il lavoro non è esente da una sua poeticità implicita.
Quella della progressiva presa di coscienza del territorio che si fonde, passo dopo passo, con la presa di coscienza del senso di appartenenza ai luoghi, del contatto con quel genius loci tanto spesso invocato. È nell'atto del ricongiungimento con il punto di inizio del percorso (il primo e l'ultimo scatto) che si compie nella sua interezza la riconciliazione tra uomo e paesaggio. Il momento in cui lo spazio si confonde con il tempo e dà vita all'identità. Inizio e fine perdono di importanza, resta il percorso e ciò che da esso viene a chi lo compie. «I punti di partenza e di arrivo hanno un interesse relativo, mentre lo spazio intermedio è lo spazio dell'andare, l'essenza stessa del nomadismo, il luogo in cui si celebra quotidianamente il rito dell'eterna erranza». (1)

[ Sandro Iovine ]
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(*) - Francesco Careri, Walkscapes, camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino, 2006; pag. 112.
(1) - ibidem; pag. 18.





The perception of the border
by Marco Monari

«One of the main problems of the art of walking is to transmit the experience in an aesthetic form. The Dadaists and Surrealists had not transferred their movement on to a cartographic base and avoided representation resorting to literary descriptions; the Situationists had produced psycho-geographic maps, but had not wanted to represent the real trajectories of the drift carried out»
Francesco Careri*
The knowledge that we acquire is typically that most related to everyday experiences. Living in a small town, like in the city, it promotes the development of established habits that also involve the visual perception of space on which we insist. Typically, this results in a lack of attention to those who take the aspects for granted, for example the ways in which our home territory is expressed.
Following the constant line of research on the manifestations of man-made landscapes, it inevitably arrives at the less visible, but more subtly incisive form of human intervention on the territory: the border. In their international declination, boundaries fulfil the task of defining the responsibilities of state intervention and, similarly, inside the national structures they allow the distribution of administrative logistics. And more or less we are all aware, at least in broad terms, how to sort out national borders, regional and probably municipal. The latter, in fact, unless you have specific interests, are probably less well known even if closer.
«At the end of long days involved in photo shoots – says Marco Monari on his website – the perception of these boundaries remain, as the awareness of the distance covered in its entirety».
A sort of testimony of how the transpositions of map-making in reality is not so immediate.
The reverse process, which leads, after having covered the places, to retrace the symbolic identity on the maps, perhaps is easier. The last phase of a rationalisation of the territory is not exempt from Dadaist and surrealist fascination. Despite the punctilious and almost obsessive meticulousness iconic geo-referenced withdrawals, the work is not without its implicit poetry. That the progressive awareness of the area that blends, step by step, with the awareness of the sense of belonging to the places of contact with the genius loci so often invoked. It is in the act of reunification with the starting point of the route (the first and the last shot) that in its entirety the reconciliation between man and landscape takes place. The moment when the space is confused with time and creates identity. Start and end lose their importance, and what remains of the itinerary (route) and what it is to who completes it.
«The points of departure and of arrival have an interest therein, while the intermediate space is the space of going, the very essence of nomadism, the place where we celebrate the rite of eternal wandering every day». (1)

[ Sandro Iovine ]
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(*) - Free translation from Francesco Careri, Walkscapes, camminare come pratica estetica, Einaudi, Turin, 2006; p. 112.
(1) - ibidem; p. 18.





Tratto integralmente dalla rivista FPmag 003 marzo 2015: progetti #4 fotografia al confine.
Voglio ricordare la rivista online FPmag: FPmag.
Il reportage: La Percezione del Territorio.

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